Secondo studi recentemente condotti da diverse università (di Sidney, commissionato dal WWF, a cui si aggiungono quello delle Università di Amsterdam e di Vienna) e dalla Dott.ssa Daniela Gaglio, responsabile scientifico dell’Infrastruttura di Metabolomica dell’Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare (IBFM) e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ingeriamo fino a 5 grammi di microplastiche a settimana, l’equivalente di una carta di credito.
La presenza di questo derivato del petrolio (è sempre bene ricordarlo), è ormai solito ad essere presente nel cibo e nell’acqua che ingeriamo tutti i giorni.
I risultati di questi studi riportano dati davvero preoccupanti: tre quarti dei campioni analizzati presentano tracce di plastica, soprattutto polietilenetereftalato (cioè il PET, utilizzato comunemente per la realizzazione di bottiglie per l’acqua minerale e nell’abbigliamento).
Secondo l’Università di Medicina di Vienna se beviamo ogni giorno tra 1.5 e 2 LT di acqua contenuta nella plastica assumiamo in un anno 90.000 particelle di microplastiche. Meno della metà il dato per chi invece opta per l’acqua del rubinetto (40.000 particelle l’anno).
L’intervento della Commissione Europea, col supporto della valutazione dell’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA), mira a ridurre drasticamente il livello di microplastiche nei prossimi 20 anni.
Infatti, in Italia, dal 2020 è vietata la commercializzazione di cosmetici, saponi, creme, gel, dentifrici ecc che abbiamo presenza di microplastiche.
Dal momento che si tratta di una scoperta relativamente recente, non ci sono ancora molte informazioni definitive sulle conseguenze della tossicità dell’ingerire microplastiche, sia per l’uomo che per gli animali.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) i rischi derivati dall’ingerire e dall’inalare le microplastiche sono diversi: di natura fisica (l’ingresso nel nostro organismo di queste particelle arreca danni all’apparato respiratorio e a quello digerente), di natura chimica (grazie alla presenza di contaminati quali ftalati, bisfenolo A, idrocarburi, policlorobifenili, ecc) e di natura microbiologica (le microplastiche possono essere veicolo di batteri come Escherichia coli, Bacillus cereus e Stenotrophomonas maltophilia, spesso resistenti agli antibiotici).
Secondo la Dott.ssa Gaglio le micro e le nano particelle assorbite dalle nostre cellule del colon inducono cambiamenti nel metabolismo simili a quelli derivati dall’agente tossico azossimetano, una molecola cancerogena e neurotossica studiata a lungo proprio per l’alto rischio di provocare tumori al colon. Il risultato dello studio mediante approcci innovativi di metabolomica (la scienza che studia nel dettaglio il metabolismo e i processi metabolici) è che le cellule sane di colon umano, sottoposte all’esposizione sia acuta che cronica di particelle di plistirene, mostrano un’alterazione del metabolismo e un aumento dello stresso ossidativo. Infine, lo studio ha evidenziano che l’esposizione da plastica induce alterazioni metaboliche tipicamente riscontrate nelle formazioni cancerose, indicando una potenziale azione delle micro e delle nano particelle plastiche come fattore di rischio tumorale del colon.
Altri studi hanno dimostrato che microparticelle di plastica sono presenti in tutte le fonti di acqua analizzate (Cox et al. 2019). Analisi dell’acqua di rubinetto proveniente da 159 fonti diverse hanno evidenziato che l’81% dei campioni conteneva microparticelle inferiori a 5 mm (Kosuth et al. 2018). Altri studi condotti su 259 bottiglie d’acqua di 11 marche diverse e 27 lotti diversi hanno mostrato che il 93% dei campioni conteneva microparticelle di plastica (Mason et al. 2018). Un altro studio ancora ha ritrovato elevati livelli di microplastiche nell’acqua minerale imbottigliata in 22 diversi materiali plastici multiuso (rispetto ai contenitori monouso in plastica o cartone, nonché nelle bottiglie di vetro (Schymanski et al. 2018).
Il consiglio è quello di eliminare il più possibile l’utilizzo della plastica, soprattutto quella monouso, dai piatti e posate usa e getta in favore della porcellana e dell’acciaio, dai cibi confezionati in plastica (sono state trovate tracce di particelle addirittura nelle bustine di the e nel riso precotto), preferire capi di abbigliamento fatti di materiale naturale come lana, seta e canapa a dispetto di quelli realizzati con fibre sintetiche che rilasciano particelle quando vengono lavati, preferire l’utilizzo di borracce riutilizzabili senza l’utilizzo di cannucce in plastica (da gennaio 2022 tutta questa plastica usa e getta è illegale in Italia ma se ne trova ancora tantissimo, come ad esempio nei cotton fioc o appunto in piatti, cannucce e posate).
Concludendo, ci sentiamo di consigliare vivamente l’utilizzo dell’acqua dell’acquedotto, che come abbiamo visto prima contiene meno della metà delle particelle rispetto all’acqua imbottigliata, meglio ancora se erogata da un impianto al punto d’uso, magari ad osmosi inversa. Meglio ancora se l’impianto è Acquarex.